Statistics_

martedì 4 marzo 2008

La storia non insegna nulla

Studiando Sallustio, e più dettagliatamente, il De Coniuratione Catilinae, vi propongo il 20esimo capitolo di tal opera, in cui troviamo il discorso rivoluzionario di Catilina ai suoi complici.
Inizialmente ritenni la figura di Catilina come oscura, "cattiva" di natura, proprio come la descrisse l'Autore e come sottolineò poi Cesare e Catone. Ma poi, leggendo il capitolo da me proposto, ho notato di come, anche se usando quella demagogia vista tanto male, fosse riuscito a "tirar fuori le palle" e dire come stavano veramente le cose. Insomma, non capisco cosa ci sia di male in un uomo che, stanco di vedere una società marcia e corrotta, non poi tanto diversa dalla nostra, cercò di rovesciarla per cercar di portare parità e ristabilire quella struttura politico-sociale-economica ormai andata persa.
Sicuramente andava di moda al tempo il perbenismo e il falso moralismo che piace ancora oggi... quell'indifferenza da parte della popolazione che porta a pensar male di coloro che son "rivoluzionari" e porta a pensar quasi "bene" della gente corrotta...
La gente preferisce (o anzi, i politici preferiscono) mandare a morte coloro che avrebbe potuto cambiare le cose, invece di espellere coloro che stavano sperperando i beni dello stato.
Beh, insomma, la storia non insegna proprio nulla allora, visto che tuttora miei coetanei insultano e si fanno scherno dei "rivoluazionari" poichè li vedono come "sognatori utopici" e preferiscono rassegnarsi con indifferenza alla mera verità, purtroppo sporca, senza cercar di cambiare nulla, ma accontentandosi di ciò che viene proposto loro, in perfetta passività politico-sociale.

CAP 20

Catilina, quando vide (lett.: vede) che erano convenuti quelli che poco fa ho ricordato, sebbene avesse trattato spesso con ciascuno di loro (lett.: con i singoli) molte cose, tuttavia pensando che sarebbe stato opportuno chiamarli ed esortarli tutti insieme, si ritirò (lett.: si ritira) in una zona appartata della casa e tenne un discorso di tal fatta:

“Se il vostro valore e la vostra lealtà non fossero per me certi, invano si sarebbe presentata (questa) circostanza favorevole; la grande speranza del potere [lett.: la grande speranza e il potere (endìadi)] invano si sarebbe trovata nelle (nostre) mani, né io cercherei l'incerto al posto del certo con gente ignava o leggera (lett.: attraverso l'ignavia o gli spiriti leggeri). Ma poiché vi ho conosciuti forti e fedeli in molte circostanze importanti (lett.: in molte e importanti circostanze), (proprio) per questo il mio animo ha osato intraprendere un'impresa grandissima e bellissima, (e) nello stesso tempo perché ho capito che per voi i beni e i mali sono gli stessi che per me; infatti volere e non volere le stesse cose (lett.: volere la stessa cosa e non volere la stessa cosa), questa davvero è salda amicizia. Ma i piani che io ho concepito nella mia mente (lett.: le cose che io ho pensato con la mente), (voi) tutti ad uno ad uno (li) avete sentiti già prima. Del resto l'animo mi si accende ogni giorno di più quando considero quale sarà la (nostra) condizione di vita se non ci liberiamo da soli dalla schiavitù. Infatti, dopo che lo Stato è passato sotto l'autorità e il controllo di pochi potenti, re e principi sono sempre loro tributari, popoli e nazioni pagano (loro) un'imposta; (noi) altri tutti, valorosi (e) onesti, nobili e non nobili, (da allora) siamo stati un volgo senza credito, senza autorità, sottoposti a gente a cui (ora) faremmo paura (lett.: a coloro ai quali saremmo di paura), se lo Stato fosse effettivamente cosa pubblica (lett.: se la cosa pubblica fosse in buona salute). Così prestigio, potere, cariche pubbliche e ricchezze, sono tutti nelle loro mani (lett.: presso di loro) o dove quelli vogliono; a noi hanno lasciato pericoli, insuccessi politici, processi (e) povertà. Fino a quando, insomma, miei prodi (lett.: fortissimi uomini), sopporterete questi (soprusi)? Non è forse meglio morire con valore che perdere con infamia una vita misera e priva di onori, nella quale si è stati (lett.: tu sia stato) (oggetto) di scherno per la superbia altrui? No di certo, in nome degli dèi e degli uomini, abbiamo la vittoria in mano, è giovane la (nostra) età, l’animo è forte; per loro invece tutto è invecchiato per gli anni e per le ricchezze. C’è solo bisogno di incominciare, il resto verrà da sé. Infatti chi tra i mortali che abbia un animo virile potrebbe tollerare che a loro abbondino le ricchezze al punto da sperperarle nel costruire (sopra) il mare e nello spianare i monti, (mentre) a noi manchino i soldi anche per le cose necessarie? Che essi costruiscano di seguito due o più palazzi per volta, (mentre) noi non abbiamo in nessun luogo un focolare domestico? Per quanto comprino quadri, statue, vasi cesellati, abbattano edifici nuovi (e ne) costruiscano altri, infine (per quanto) spendano (e) sciupino in ogni modo, tuttavia non riescono a dar fondo (lett.: vincere) alle (loro) ricchezze (pur) con la sfrenatezza più assoluta. Noi invece abbiamo la povertà in casa, fuori debiti, una situazione (presente) negativa, una prospettiva molto peggiore: infine, che cosa ci resta tranne una vita miserabile?

Perché dunque non vi svegliate? Ecco, quella, quella libertà che spesso desideraste, inoltre ricchezza, onore, gloria sono messi davanti ai (nostri) occhi; la fortuna ha posto tutte queste cose come premi per i vincitori. La situazione, il momento, i pericoli, la povertà, le magnifiche prede di guerra vi esortano più del mio discorso. Servitevi di me o come comandante o come soldato: né il mio animo né il mio corpo vi abbandoneranno. Proprio questi progetti, come spero, attuerò insieme a voi da console, a meno che l’animo non mi inganni, e voi siate pronti più a servire che a comandare”.




Nessun commento:

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails