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martedì 30 giugno 2009

Il racconto di Londra!

Eccovi il resoconto della vacanza a Londra di noi 4 folli, cioè io, Teodoro, Kant e Dani.

Vi potrà sembrare lungo da leggere, ma andate fino in fondo perché vi assicuro che vi farete sì grasse risate!

(c) Teodoro Filippini 2009 (c)

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London Calling!

Non si parla dei Clash, ma del Regno Unito! È una chiamata primordiale, come se la regina sussurrasse al nostro orecchio!

Tutto iniziò come la tipica stronzata campata per aria di Alexeidos (vedi: “andiamo a farci le rampe in skate?” o “andiamo a fare il giro delle capitali europee!” o ancora “torniamo a fare stencil?”), e invece eccoci qua, diretti verso Londra, per dieci giorni di cazzate, sballo e fanculo il resto.

Prima nota: il fanculo va diretto soprattutto ai tabaccai tax-free. C’era lì all’aeroporto la stecca di camel natural flavour, ma puòssi comprare solo per consumo fuori dall’Unione Europea, o non la vendono…

In aeroporto nulla da segnalare, a parte appunto il complotto dei tabacchi. Accaparratoci in aereo al più presto dei posti quasi vicini, ci dirigiamo verso la Gran Bretagna. L’aereo ha avuto qualche difficoltà a partire perché il cambio grattava, e il pilota aveva seriamente in testa di andare in autostrada, a 26 all’ora.

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Coglione! Comunque non si capisce il perché degli occhiali di Ale, truzzi al massimo.

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P.S.: nessuno vuole dormire nel letto a castello sotto Dani (giustamente)

gli occhiali sono truzzi al punto giusto! Comunque io ci ho sempre creduto in qst viaggio, siete voi merde pantofolai che non ci credevate!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! E ora si parte per dieci giorni sballo sììììììììììììììììì! Anche se per il momento abbiamo capito una sega di nulla di sto inglese slang di periferia easyjet. Alexeidos è sbarcato in UK! [ALE]

Seconda nota:

ok, siamo atterrati da venti minuti e già due inglesi dimmerda ci hanno preso per il culo, e il leggero odio del pregiudizio verso tutti loro si è trasformato in feroce razzismo.

Dopo un frugale pranzo dove è capitato

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(leggendario il mio panino al salame, roast beef, bacon e mozzarella fusa), siamo giunti al Generator Hostel, e l’aria di libertà che fiutavamo s’è trasformata in fugace brezza, portata via: corridoi bui, camere schematizzate e minuscole e telecamere che fanno dell’ostello un luogo simile ad una prigione (che sorge su un vecchio commissariato abbandonato non c’era scritto, sul depliant). Per questo, siamo usciti al più presto, dirigendoci ad Hyde Park.

Terza nota:

Abbiamo comprato le camel. Hanno valori diversi e, chicca, un’immagine dissuasiva di un’operazione ai polmoni (anche se secondo me si tratta di una normale rimozione di emorroidi), evoluzione della classica scritta “il fumo uccide”.

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Danny ad Hyde Park ha tentato lo stupro massivo di scoiattoli

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mentre noi adoranti contemplavamo un negrone (NDR: non il drink) dai pettorali e addominali di marmo e il pacco infinito [attenzione: alto contenuto omosessuale]. Tra giri assurdi in metropolitana e occasionali piogge, abbiamo visitato il centro, burlandoci delle marcette delle guardie di Bukkake Palace. Rientrati, abbiamo biasimato in coro Daniele, e per le battute ripetitive ripetute, e per la sua folle folle idea di farsi la doccia. Uscendo svogliati di cercare un posto decente per la cena siamo finiti ad un “kebap - fish n’ chips - lasagna”. Che merda! Per migliorare la serata, volevamo andare al Waxy O’ Connors (“pub irlandese che serve anche frutti di mare. Caratteristica unica: all’interno del locale è addirittura cresciuto un albero!” diceva la guida turistica), ma il buttafuori c’ha gelato il sangue nelle vene chiedendo: “are you over 18? Can i see the id?” e la storia s’è ripetuta in un'altra decina di dannati locali: colpa della potente polizia inglese, e delle sue matte leggi. Ma lungi dall’arrenderci, ci siamo riusciti ad infilare al “Fudge”:

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Luci soffuse, musica di pessimo gusto a palla, ma una sacra birra è una sacra birra. Grazie al cielo. Non sappiamo come faremo i prossimi giorni!

Ale ha tentato d’accalappiare la figa di turno, che purtroppo è fidanzata (almeno così gli abbiamo fatto credere io e Kent.. ahah). Con la coda tra le gambe ci ha seguito verso il Big Ben. Lì le fantomatiche luci notturne che ci aveva tanto reclamizzato non c’erano.

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Poi verso il London Eye

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e di qui a casa, dove son cominciati i cazzi. Non si riusciva a smettere di dormire per le diurne stronzate di Danny (“c’ha il pacco imbottito di rotoloni regina”, “la famiglia di Labrador”, “il contrario di pellicani? Aristogatti”) e per le fulminanti urla “¡El Pais!”.

Quando tutti finalmente ci eravamo addormentati, trilla la sveglia di merda di Dani, impostata alle 6:48 di ogni giorno, ché “tanto non la sento e comunque non c’ho sbatti di toglierla” [cit.]. Tempesta di bestemmie ai suoi danni, ci riaddormentiamo.

Awake

Alle 8.10 ci siamo alzati al ritmo di “Born to be Wild” degli Steppenwolf. La colazione all’ostello, nella quale riponevamo le nostre speranze, si è rivelata una grossa delusione, indefinibile come colazione, tantomeno alla maniera inglese. Schifati fuggiamo a Piccadilly per ingranare con un caffè decente.

Andiamo alla Wenstminster cathedral,

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‘na merda, mentre alla Abbey in fondo alla strada costa quindici sterline quindi… col cazzo.

Pirletta solito! Comunque sì, le abbazie e chiese varie si sono rivelate insoddisfacenti a dir poco, indi ci siamo indirizzati alla Tate Gallery, presso il Tower Bridge, tenuti su da Lucky Strike e Steppenwolf.

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Non era malaccio, ma per le parti migliori occorreva pagare… così, andati a mangiare e poi al Tower Bridge stesso, stanchi e sfiniti per la scarpinata ci siamo recati a Regent’s Park, per un po’ di fetish intimo.

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Mai visti tanti peli e piedacci tutti insieme, resi in più artistici con le biro.

Quarta Nota:

Qui in giro, anziché le pubblicità della telefonia, delle auto o dei supermercati, i cartelloni mostrano le recensioni di migliaia di musical, spettacoli teatrali e film, con tanto di stelle di valutazione dai giornali (ed è qui che è nato il gioco di “el pais”, da urlare quando si vedono le cinque stelle in una reclame).

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Vi è un tripudio di stelle in ogni dove! Per biasimare l’ennesima abitudine idiota di questi inglesi, recensirò:

Dani Prest

“un gojone!”

-alexeidos.net

“avessi un penny per ogni minchiata che dice…”

-Queen Elizabeth II

½

“fa scuregge mefitiche”

-tutti

Nel parco abbiamo vagato a lungo e inutilmente alla ricerca di pellicani, che mi ricordavo vagamente di aver in qualche giardino, due anni or sono. Poi siamo andati ad una meta classica… Harrod’s! La guardia all’entrata ci fa subito storie, a sua detta perché siamo “un gruppo” (mentre le carovane di beduini diretti alla Mecca entravano indisturbate), più che altro perché eravamo vestiti da straccioni com’è nostra sana abitudine. Ma la sentinella è stata elusa con uno stratagemma semplicissimo: dividerci e passarle sotto il naso uno alla volta. E siamo dentro! Lo esploriamo palmo a palmo, ma con una certa delusione: abbonda la roba di pessimo gusto, costosa e inutile (come il biliardo usato dalla regina, disponibile al modico prezzo di £.1,000,000,00; un dragone di ceramica rossa, £.56,000,00; un impianto audio a forma di albero bianco di plastica, £.80,000,00). Fortunatamente prima di superare la soglia massima di sopportazione incappiamo nella zona bambini-animali (il buon gusto inglese si nota anche in questi abbinamenti). Nell’una abbiamo girato, provato i giocattoli e fatto burdell’, nell’altra ci siamo stupiti della quantità industriale di minchiate disponibili per il proprio amico canino create da questi ricc(hi)oni, come la birra per cani (un normale brodo di pollo, che però costa 27 sterline in quanto è “distillato” in una bottiglia di vetro la cui etichetta mostra un cocker con gli occhiali da sole) e i pop-corn al gusto di topo per i gatti [NDR: aromi artificiali]. E così, delusi da questi inutili grandi magazzini, ci dirigiamo alla metropolitana, ignari del fato incombente: un qualche pirla di turno s’è schiaffato in mezzo ai binari della nostra adorata Piccadilly Line e ci tocca arrangiarci con i mezzi di superficie. Non si sa bene come, arriviamo vivi all’ostello, il pazzerello Danny si fa la settima doccia della giornata, noi ci riposiamo e infine si va a cena. È risaputo che “le insegne luminose attirano gli allocchi”, un po’ meno che le fraudolente organizzazioni criminose cinesi del settore alimentare mandano per i sobborghi di Leicester le loro femme-fatale. In meno d’un minuto, tra le luci sfavillanti e il caos urbano, l’abile truffatrice ci trascina nel ristorante che si rivelerà il peggiore della nostra vita.

Abbagliati dalle scritte “unlimited coke for only £.1.80!” e soprattutto “all you can eat” (la quale ci ricordava che, recentemente, a Milano, avevamo svuotato le dispense di un ottimo giapponese che offriva le stesse promesse), entriamo.

Lasciamo ogni speranza! Ci sono vasche di cibo a muzzo,

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l’aspetto non è dei migliori ma ci serviamo qualche porzione delle pietanze più invitanti (delle meno disgustose, anzi). Una tragedia. Gli involtini sanno di pesce, il pesce di grasso di pollo, il pollo di chissà cos’altro… mangiamo lo stesso il più possibile, affamati di una lunga giornata di stenti. La fulminante cacarella alla “Frà Bò” ci coglie, e io personalmente ho lasciato l’intestino in quel bagno. E oltre al danno, la beffa: ci costa 10,60 pounds! E quindi, per rifarci la bocca, siamo andati giù al McDonalds, che al confronto pareva il Ritz. Ma ancora non bastava per sciacquare quella merda, per questo siamo tornati al Fudge, dove per raggiungere la toilette occorreva scalare il K2: quattro rampe di scale ripidissime. Tornati all’ostello abbiamo giocato amichevolmente a biliardo fino alle 3.20.

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Destination Unknown

Alzatici sul tardi (13:00), ci prepariamo alla giornata che avremmo voluto fosse di cazzeggio. Andati a St. James Park per vedere i famigerati pellicani,

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Riusciamo più o meno nell’intento: esserci ci sono, ma stanno appollaiati per i fatti loro nell’isoletta in mezzo al lago. Volevamo rilassarci ancora un po’ ma è venuto a piovere (l’unica pioggia che abbiamo incrociato, oltre a quelle di ieri da venti secondi, in dieci giorni di vacanza), perciò ci siamo rifugiati alla National Gallery e in quel mucchio di carta straccia ci siamo beati del “triplice ritratto del cardinale Richelieu”,

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che, arcinoto, avevamo visto sul nostro libro di storia, mentre Ale con occhi luccicanti stimava ogni estintore e ogni crepa del muro una sublime opera d’arte [nota mia: sti cojoni non capiscono l'importanza e la bellezza dell'arte del 200/300 e mi pijano per il culo, ma guarda te...] . Tutto tranquillo fino a sera, una bella cena a base di tramezzini del supermercato e via. Sono solito dire, arrivato alle cronache serali, “e qui cominciano i cazzi”. Stasera non ha fatto eccezione. Scesi nel cortiletto a fumare, e usciti poi da lì in strada, ci siamo trovati circondati di spagnole ubriache, a ridere e sfottere, ma è bastata una minuscola burla in più (oltre ai “rossi e grassi” e le offensive frasi come “tu puzzi come la Spagna?”) per offendere la scazzata cessa di turno, che se l’è presa con me (avevo chiesto alla tizia sedutale di fianco “ma è fidanzata la tua amica? No che è figa!”) e se n’è andata. Tempo quattro minuti ed è tornata con una decina di spagnoli seminudi e palestrati. Essendo solo sei (noi quattro e due tizi bolognesi conosciuti lì, Zana e Julius Toffaloni), diciamo che non vogliamo problemi e ce ne stiamo andando, ma Daniele il volpone in tono di sfida proclama: “i stay where i want”. Gli spagnoli, che di inglese sapevano poco o nulla, lo minacciavano: “Go by! Go by!”. Il loro capo, un tappetto col pearcing viola al sopracciglio, si avvicina a Dani e comincia a contare fino a dieci. “one, two, three, four…” la tensione aumentava. “…ten.” E molla a Danny un pugno sulla guancia. Fortunatamente siamo riusciti a portarlo via, che sennò quei chupacabras di merda ce li trovavamo negli involtini primavera dell’indomani. Allora siamo tornati all’ostello, e ci siam trovati, nel cortile, il negretto che ci aveva cacciato perché facevamo troppo rumore. Abbiamo tentato di spiegargli la situazione (Danny si era destreggiato col suo inglese migliore: per dire al tizio che lui personalmente non aveva cercato rissa ma era stato comunque leso, ha pronunciato le parole: “i not want to fight, but i take” [lett. “io non volere combattere, ma prendo”]), ma elli sembrava poco preoccupato, anzi ci ha interrotti per dirci che lui aveva cercato di farci fumare lì, ma si era trovato costretto a cacciarci. E sti cazzi! Quello è capace che se l’URSS si riforma e apre una guerra all’Inghilterra con dei bombardamenti a tappeto, dica sempre: “yeah, yeah, but listen: i tried to let you smoke inside, but you were too noisy!” insomma, è riuscito solo a farci perdere tempo. Intanto loro ci tampinavano… siamo saliti di corsa sulle scale, ma era troppo tardi: avevano visto qual era la nostra camera, e stavano tentando di entrare. Li abbiamo chiusi fuori. Con amarezza ci siamo resi conto che stavano sul nostro stesso piano. A quel punto la situazione si è fatta insostenibile e abbiamo chiamato la reception, per vederci arrivare dopo mezz’ora un cinesino sfigato, che ci ha chiesto, visto che c’era un problema, perché non abbiamo chiamato la reception. Idiota! E secondo lui perché era stato mandato da noi? Insomma, diceva che sarebbe andato a parlare agli spagnoli e sarebbe tornato a tranquillizzarci, ma di lui nessuna traccia. Danny ha messo la palla da biliardo che avevo rubato in un suo calzino, e roteando questa nuova arma minacciava di uscire e distruggerli tutti. Abbiamo cercato di tranquillizzarlo un po’, e tenerlo buono. Dopo un paio d’ore di tensione, Alessandro, sfinito, che solo Iddio sapeva quanto aveva bisogno di dormire, si addormenta. E subito, nel suo orecchio, al volume di 780 decibel, esplode l’urlo: “¡EL PAIS!”

Quinta Nota:

Il tizio di colore giù alla reception è sommo filosofo: giammai apre bocca, se non per pronunziare perle di saggezza, come “Ah, it’s a crazy world.”

Sesta Nota:

Che schifo, la northern line di metrò nera di notte pullula di topi. (olè)

Settima Nota:

Le stronzate di Daniele sono comunque lontane dal diminuire. Elenco le più idiote.

T:”Mì, quanto sono oche quelle là.”

D:”Sì, stai a vedere che quando si alzano c’è l’uovo sotto!”;

T:”Sì, quando la tipa te le faceva sputava poi palle di pelo!”

D:”E magari le sputa sul muro, che restano appiccicate!”

Cum, Then

“Ieri il pugilato, oggi il rock n’ roll!”

Dopo una colazione circospetta e anti ispanica ci dirigiamo a Camden Town, la decantata fiera bogliarina. Per descriverla non saprei da che parte cominciare… era strana, come una cultura lontana e diversa… solo ricordo che Ale a pranzo ebbe ordinata una cucina arrosto (“some kitchen”), facendosi sfottere perfino dalle thailandesi.

Ottava Nota:

Ieri abbiamo scoperto che l’ostello vende alcolici a buon prezzo e senza chiedere l’id. bene.

Dopo un poco di cazzeggio s’è avvicinata la sera, che oggi invec’è stata una chicca. Niente di troppo notevole, a parte una megastronzata apocalittica di Danny. S’è apprestato, con estrema serietà, a raccontare una storia a suo avviso importante ai bolognesi. Testuali parole: “Ale ti ricordi? Era quella giornata, lì, che eravamo andati alla manifestazione… in ogni caso, la sera, che c’eravamo beccati al duomo. Avevo preso via Torino e… ho visto quattro Ferrari tutte insieme! Quindi ho detto <>” Infima stronzata degna di Danny: il racconto è privo di alcuno spessore (STI CAZZI!), e inutilmente cerca di svilupparci intorno una trama inconsistente aggiungendo informazioni inutili. Ci abbiamo messo un poco a realizzare le proporzioni di questa vaccata… poi abbiamo riso. Riso, riso, sbellicatici, sputato quello che bevevamo, pianto dalle risate! Che pirletta il nostro Danny. A Sandro Bogliari è venuto e il cacotto (quando ci prova con le spagnole ubriache che la danno via come il pane) e la stitichezza (quando dopo aver sgommato ripetutamente, finalmente si è seduto sulla tazza del cesso). [NOTA MIA: ennessima cazzata alle Teddino... non m'è venuta nè la cacarella, nè la stitichezza... se proprio la si vuol dire tutta, quello che intasava tutti i cessi di Londra e sporcava di sgommate ogni paio di mutande era appunto il Filippini]

Giornat’ emmierda

In mattinata ci siamo recati al museo di storia naturale che avevamo intravisto chiuso il giorno prima. Purtroppo abbiamo scoperto che si trattava di un museo per bambini.

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Per questo motivo, alquanto seccati, ci siamo piazzati nel prato sottostante. Lì Danny ci ha deliziato con un’altra sua perla: era seduto da mezz’ora immerso nella natura e in pensieri complicati, e poi con la fronte aggrottata si è tirato su a sedere, e ha detto, come a raggiungere il Nirvana: “Porcoddio c’ho un tarzanello!!” La giornata prosegue di male in peggio: Ale anziché a Kenwood ci porta ad Hampstead Heath, e quindi anziché in una villa con sontuosi giardini in un parcheggio tra le sterpaglie. Perlomeno lì ho acquistato il mefistofelico giornale El Pais!

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Danny cominciava a sentirsi un po’ male. Per cena siamo rimasti in quella zona, e abbiamo gustato in un ristorantino tipico (KFC …no dai era davvero tipico) una bistecca con patatine che eran più delle patatine con accompagnamento di bistecca, il tutto spruzzato con acqua, cloro e sputo del cameriere. Daniele a quel punto s’è lasciato andare al malanno, si è sentito male ed è rientrato in ostello da solo, mentre noi a Notting Hill per sentire un po’ di vita. Ci siamo ridotti presto a prendere un bus a caso e a finire nel bronx londinese, presso la desolata Abbey Road, contando invece a Dani, per fargli rodere un po’ il culo, di aver passato una seratona. E la sera a letto presto, nonostante gli istinti primordiali di Danny (rutti, scuregge et similia) che appestavano la stanzetta a nostro svantaggio.

Saturday Night Fever

La giornata è ben cominciata con un gustoso english breakfast: almeno una cosa che sanno fare, questi dannati scarafaggi inglesi! Dopo di essa, Danny è tornato in ostello, mentre noi ci siamo diretti a Covent Garden. Laggiù abbiamo incontrato… Pierri! Il compagno del ginnasio!

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Era in gita colla scuola, il babbo. Ale invece ha scovato la sua maglietta che cercava da anni, che raffigura un sasso ed un righello, che a vicenda si lusingano: “you rock!” e “you rule!”. Dopo, nel primo pomeriggio, siamo tornati a Camden Town, che stavolta abbiamo esplorato ben più nel profondo. Quel pirla di Teodorino voleva comprare l’erba di loto blu, un miscuglio d’erbe legali allucinogene, e invece ha acquistato il super skunk, altro tipo d’erba tollerata. Sei sterline buttate: faceva schifo al cazzo e non aveva alcun effetto. Nel bel mezzo della fiera, abbiamo trovato un buon locale cubano dove rifocillarci con una sacra birra, per poi ributtarci nella psichedelia dei banchetti, dove abbiamo fatto svariati acquisti, come un caleidoscopio, un cubo di rubik 4x4x4 e tanto altro ancora.

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Ma la perla è stata la serata: Londra sabato sera impazzisce, va nel soqquadro di immagini e pensieri. Danny ci avrebbe raggiunto dopo con i bolognesi, per “vedere se c’era un po’ di figa giù all’ostello”. Noialtri ci siamo diretti a Piccadilly, dove abbiamo giocato, a Funland, una sala giochi lì vicino, la storica partita Pirla VS Teddi VS Alexeidos, vinta dal primo con gli altri due pari al secondo posto. Purtoppo non c’era Metal Slug X, troppo vintage, sennò li avrei distrutti tutti! Abbiamo bruciato qualche quattrino in un simulatore di guida e in uno sparatutto. Fuori dalla sala, con qualche caramella della Sweets Inc. è partita la follia. In Piccadilly Circus abbiamo trovato un pappone che ci offriva prostitute, spacciatori di coca a raffica, stuoli di persone ubriache e lì di fianco, all’On Anon, un locale chic,valanghe di polizia per sedare una rissa: qualche figlio di papà che spintona gli elmetti, manganellate, assalti, sirene.

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Elettrizzati abbiamo proseguito la passeggiata, finendo, alla ricerca d’uno straccio di locale, in un quartiere a luci rosse. Mai più passeremo una serata in ostello, dopo tanto spasso! Alle quattro e mezza, finalmente, ci stavamo addormentando in camera all’ostello, che Kant urla:“e Julius Toffaloni, e ¡El Pais!”

[Senza Nome]

(Attenzione: da oggi il mio sbatti di fare il cronista è radicalmente sceso. I diari saranno ben più brevi dei precedenti.)

Stamani siamo stati svegliati dolcemente dalla triplice rottura di cazzo procurata da madre Prestigiacomo, che ha telefonato alle 8, alle 9 e alle 10; tutto perché Dani la volpe le aveva erroneamente fatto uno squillo la sera precedente. Durante il pomeriggio abbiamo visto la fantomatica Carnaby Street, restandone tuttavia un po’ delusi: ce l’aspettavamo pattona pattona, e invece pareva quasi via Montenapoleone, con negozi di marca e lussi sfrenati. E già allora cominciavamo a non sentirci più benissimo, Danny l’untore ci stava contagiando.

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Guardate che ghigno da malvagio. Per cena ci siamo ridotti, pur di risparmiare, ad andare al McDonald’s. Errore grave: poco dopo, tornati a Funland per mostrarla a Dan, m’è venuta la cagarella assassina. Fortuna che i bagni della sala giochi erano puliti e vi si stava da imperatore. Danny, in vena di giocare, ha speso due folli pounds ad una macchinetta che simulava un carro armato, per un tempo di gioco complessivo di un minuto e trentatré secondi.

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Poi, tornando, ci siamo persi tre volte, urlando per strada le canzoni dei punkreas (debolezze londinesi).

Frisbee’s Last Stance

Oggi siamo andati a fare altro shopping nella zona di Oxford Cyrcus. Io e Kant avevamo occhio esperto per addentrarci puntualmente nei negozi per turisti, pieni di magliette “I Love London” e “my husband/boyfriend/father/brother went to London and all i’ve got is this lousy t-shirt”. Danny invece voleva farsi il piercing lì al momento, nella prima bottega, ed è stato giustamente cacciato come minorenne. Più tardi nel pomeriggio siamo andati a Kenwood, quello vero. Era ben lontano, e siamo arrivati giusto a quattro minuti dalla chiusura, in tempo per vedere l’atrio ed uscire.

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Poco male, ci siamo sciallati nel parco di lì appresso con il frisbee comprato qualche giorno prima. Mentre noi giocavamo, lo sfinito Ale riposava al sole estivo, sereno e taciturno. S’era addormentato, anzi dopo ci ha detto che era in uno stato di dormiveglia, infatti ha sentito le parole “sì, dai facciamolo, poi diciamo che siamo stati tutti!” poco prima di essere stato sommerso dal frisbee, usato a mo’ di vassoio, zeppo d’erba. Sulla via del ritorno, Dani ci ha mostrato le sue conoscenze ornitologiche: c’erano degli uccelli dal piumaggio verde, quindi urlava che fossero pappagalli ara macao. Scambiandoci il frisbee sulla via, l’abbiamo purtroppo perso oltre un cancello dalle sbarre appuntite. Tornando in ostello, lì nel cortiletto per i fumatori, abbiamo fatto la conoscenza di un nuovo, misterioso personaggio: il SuperCinese (來要宣傳). Egli era appunto un cinese, dai capelli neri come l’ala d’un corvo e impomatati a puntino, che era venuto in vacanza a Londra completamente da solo, e passava le giornate facendo il figo nel quartiere. Probabilmente era anche omosessuale. La prima volta che l’abbiamo visto se ne stava lì in pose supereroiche a fumare la sigaretta: sorrisetto stampato a mezza bocca, gambe piegate e testa bassa, e quand’è arrivato all’ultimo tiro, ha lasciato cadere il mozzicone, si è rizzato in piè, e con la testa ora rivolta all’infinito dei cieli, ha sputato il fumo nelle profondità delle nuvole. Usciti per cena, evitando accortamente il suddetto SuperCinese (來要宣傳), siamo tornati in giro per la tranquilla Piccadilly del lunedì. Tornati dalla tranquilla serata, abbiamo concordato di fare una partitina a biliardo prima di andare a letto. Siamo entrati nella sala da biliardo, che era completamente vuota. Anzi, guardando meglio…. C’era il SuperCinese (來要宣傳) sdraiato sul divano in panciolle, con una lattina di coca sulla pancia, gli occhi socchiusi e il sorriso.

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Eppure non dormiva: ogni tanto, cogli occhi rigorosamente chiusi, s’allungava la coca fino alle labbra e ne prendeva un parco sorso. Erano le tre di notte, e lui era lì probabilmente dall’intera serata… distratto da cotanta inquietante presenza, Danny ha steccato la bianca e l’ha sparata per terra, facendo un bordello madornale. Il cinese resta i.m.m.o.b.i.l.e. . Cominciamo a pensare che sia morto… nulla, finiamo la partita e torniamo su in camera, lui probabilmente è rimasto lì l’intera nottata. Scossi, cominciamo a pigliarci a cuscinate a vicenda in quel buco di culo di stanzetta, o meglio tutti contro Kent, perché così va la vita. Cinque-sei minuti di pazzia e sentiamo bussare alla porta: Ale urla: “Fermi cazzo ho sentito bussare!” e tutti ci buttiamo sotto le coperte, spegnendo la luce. Ma il bussatore insiste. Allora Danny mi dice: “dai Teo vai tu che sei il più vicino!” io: “no Danny…” “Forza! Vai!” “No Danny…” perciò si alza Danny, prima che l’attendente si scheggi le nocche a furia di bussare. È il tizio di colore della reception. “What’s going on in here??” “Nothing!”, rispondiamo prontamente. Siamo stati ammoniti: sgarriamo di nuovo e ci caccia fuori. Ridacchiando, abbiamo chiuso la porta dietro di lui e siamo andati a dormire, alla buon’ora.

Scismi

Per oggi abbiamo deciso di dividerci: Ale e Danny si alzano alle 9:00, io e Kent alle 12:40. Pessima idea per loro. Alzatisi come zombie alle nove, di pessimo umore e a pezzi, hanno fatto un bordello madornale per uscire dalla stanza, specialmente Danny. Vi riferisco cos’ho visto e sentito dal mio letto, poltrendo. “Ale non ho un paio di calzini per oggi… me li presti tu?” “Col cazzoooo!” “Dai porca madonna! Anzi no ho trovato dei calzini… no è solo uno! Quello della palla da biliardo!” allora ha tirato fuori la palla dal calzino e me l’ha tirata addosso a cinquanta chilometri orari, urlando “Questa è tua!”. Poi ha proseguito col martirio dei calzini: “Dai che merda devo rimettermi dei calzini sporchi! Fanculo metto questo qua e uno sporco”. Finalmente pensavamo di tornare a dormire beatamente, e Danny prendendo il portafogli aperto ha rovesciato quindici pounds in monete da un penny su tutto il pavimento. “porco dio!” ha imprecato ad alta voce. Hanno sbattuto la porta dietro di loro, siamo tornati a dormire e ci siamo alzati ad un’ora dignitosa. Appena svegli ho fatto uno squillo a Danny, che mi ha sfottuto per la narcolessia: “Haha! Ale, sti due pirla hanno dormito finora! Vabbè, voi tornate a ronfare eh! Vi siete persi una giornata stupenda!”. Usciamo, ed in effetti c’è un bel sole. Dopo un buon brunch (la prima pizza decente mangiata qui) abbiamo richiamato gli altri due per chieder loro dove fossero. Danny mi ha risposto con voce mugolante. Oltre alla sua voce, sentivo solo il silenzio. “Dove siete?” “In ostello… eravamo troppo stanchi, siamo tornati a dormire un po’…” “Hahaha! Idioti!” [NOTA MIA: ennesimissima cazzata alla Teddino: ci siam riposati solo 1 ora dopo una favolosa giornata di sole londinese] -click!- gli sbatto la chiamata in faccia. E così noi due, freschi e pimpanti, abbiamo deciso di andare a visitare il British Museum, mentre quei due babbi sono rimasti a casa a ronfare. Il British l’abbiamo visto da capo a piè in 43 minuti spaccati, anche se potevamo essere un po’ più veloci. Abbiamo vista la stele di Rosetta:

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L’unico reperto decente, insieme ai fregi del Partenone, in quell’ambaradan. Ale l’aveva sì giustamente definito, quel museo dannato, un “supermercato dell’arte”. Fuori da lì, volevamo dirigerci nuovamente in Oxford Cyrcus, ma per arrivarvi era necessario cambiare alla stazione della metropolitana di Holborn. Lì c’è stata la grande sfida. Un’appendice alla classica regola di El Pais con le stelle di valutazione è che, se insieme a cinque di esse c’è il commento “a masterpiece”, nella pubblicità d’un film, si urla “Julius Toffaloni!”, e vale come 100 classici El Pais. La grande sfida è stata vinta da Cantini, 200-0, maledizione… ma almeno abbiamo girato decentemente la parte di Oxford Cyrcus che non avevamo visto, incontrando pure, alla fermata dell’autobus, una donna barbuta. Verso sera ci siamo riuniti con Ale e Dani. Abbiamo deciso di fare una cena decente con una grossa bistecca alla steak house “Angus” di Leicester. Lì è successo il fattaccio. Dopo una mangiata in cui le porzioni non erano poi così generose, c’è arrivato un conto stratosferico, di 96,00£ in quattro. La tipa aggiunge pure che manca il coperto perché lo scontrino è sbagliato, e sono altre tre sterline a testa. E noi non ci stiamo! Quindi piano piano, guardandoci intorno, scegliamo il momento più adatto per filarcela senza pagare almeno il coperto, che quelle novantasei bastano e avanzano. Al momento giusto ci alziamo, lasciando i soldi in bella vista, e usciamo, svoltiamo, allungando il passo… ma la tipa sbuca dalla porta sul retro del locale e ci ferma, facendoci pagare tutto fino all’ultimo penny! Maledetta! Colla rabbia dei perdenti, andiamo in un Tesco piccolo lì vicino e ci pigliamo le nuove Randoms, caramelle multiformi, divertendoci a mimarne ognuna per poi trangugiarla rumorosamente. Allora arriva un mendicante e ci chiede il tappo della bottiglietta di coca-cola che stavamo bevendo sul marciapiede. Glielo diamo. Ci chiede da accendere per le sue “sigarette” (mozziconi raccolti da terra). Glielo diamo. Ci chiede se abbiamo monete da regalargli. “Purtroppo ne siamo sprovvisti…” dice il nostro sguardo di mortificazione simulata. Si volta e in un batter d’occhio se n’è andato via lontano, offeso. Ma siamo ancora allegri, e andiamo sull’altra sponda del Tamigi per ridere e scherzare. Ale ci intrattiene con alcune delle sue battute migliori, come: “[indicandosi i fianchi] Cosa sono queste? Le anche! [indicando i fianchi dell’interlocutore] E quelle? Anche!” Su quelle sporche rive cantiamo “Move your Feet” di Junior Senior a più non posso. Le parole ce le inventiamo: “Everybody, look my picture everybody ooh”. Continuando il giro abbiamo visto una quantità industriale di barboni dormienti, e una scultura fatta di ombrelli presso St. James. Alla fine siamo sopravvissuti fino a casa, e abbiamo pure giocato un poco a biliardo per festeggiare la penultima sera.

Last Day On Earth (ovvero: l’incubo della partenza)

Per l’ultimo giorno abbiamo deciso un’altra decisione: A.B. – T; D. - K. Questo ad insaputa di Cantini, che, mentre scappavamo di camera, minacciava di distruggerci le valigie se non l’avessimo aspettato (era ancora in pigiama, il babbo). Danny e Kent sono tornati la terza volta a fare shopping ad Oxford Cyrcus, noi, senza un soldo, a rivedere la scultura di ombrelli per fotografarne le plastiche forme. Lì siamo arrivati giusto in tempo per farci mandare via: sono vietate le foto, ma un paio siamo riusciti a farne lo stesso. Poi, dritti al St. James Park a rilassarci. Tempo di sdraiarsi, e parte l’urlo: “Cazzo! Un pellicano!” ebbene sì, uno di loro si era avventurato fino alla terraferma. Era enorme, puzzolente e circondato di turiste idiote che lo abbracciavano. Sembrava lì lì per uccidere tutti, dal nervoso che gli davano le tipe accarezzandogli la testa e le piume. Quindi ogni tanto apriva le ali e il becco, e tutti indietro. Poi tornava a spulciarsi.

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Visto quest’affascinante essere, siamo tornati a sdraiarci, e gli altri due ci hanno raggiunto lì. A quel punto è arrivata una scolaresca del ’94: bambini e strafighe, disse Danny. Questi è caduto in uno stadio di trance ipnotico: una biondina s’era messa in reggiseno. Io ero andato a comprarmi da mangiare e mi ero perso il passaggio, quindi mi sono seduto nel campo visivo di Daniele. Tempo un nanosecondo, che mi urla: “tu non hai capito un CAZZO!! Cavati di lì!” e mi butta via. Danny era lì con l’acquolina, e noi ci divertivamo a prenderlo in giro immaginando ipotetiche situazioni per cui la ragazza si sarebbe dovuta rivestire, che lui prendeva molto seriamente: “Danny, ma cosa fai se tipo arriva lì un piccione, lei si spaventa e quindi si riveste?” “porco dio!”, diceva con faccia seria, “gli tiro il collo a quel pezzo di merda!” Alla fine, si è rivestita di sua volontà, e Dani è tornato quasi quello di sempre. Mentre io andavo a prendere ancora da mangiare, mi sono perso un nuovo passaggio: il MIO cubo 4x4x4 è stato lanciato da Kent a Danny e poi da Danny e Kent, e l’ho trovato mezzo rotto che non girava più. Perciò io me ne sono tornato a Camden per comprarlo di nuovo, Danny mi ha dato subito i soldi e quel malnato di Kent invece m’ha fatto storie! Sono rimasto, come Ale, senza un soldo per la partenza, a parte le 4 sterline per il mio e il suo biglietto dell’autobus che ci portava alla stazione. Presto anche Dan e Cantini sono finiti al verde. Siamo tornati in ostello per prepararci all’after che ci sarebbe toccato: l’aereo partiva alle 7:20, quindi noi ci muovevamo alle quattro dall’ostello. Siamo rimasti nel salottino del biliardo con le valigie, in stato vegetativo, a pezzi. Alle 3:40 siamo usciti per andare via. Addio, Generator Hostel! Kent cominciava a proporre il suo malefico patto a ognuno di noi: mettere il suo bagaglio a mano su uno dei nostri trolley e portare il trolley con su il bagaglio. Purtroppo Danny c’è caduto, non è andato con prudenza come me e Ale, che conosciamo i nostri polli. Arrivati a King’s Cross, abbiamo fatto il biglietto, che non si timbra ma dura un’ora appena da quando è stato emesso alla macchinetta. Il bus è arrivato quasi subito, siamo saliti con tutto l’anticipo della partenza, eravamo tranquilli, al che Danny urla: “Cazzo Kent dov’è la mia valigia?” e quell’imbecille di Alessandro Cantini dice: “mi pareva scontato che dovessi portartela su da solo!” peccato che gli avesse promesso il contrario. Ma in quel momento non si poteva discutere, dovevamo recuperare il bagaglio alla svelta! Alla prima fermata scendiamo e Danny corre fino a King’s Cross, noi lo aspettiamo a quella fermata (Euston). Passa un bus con dentro un tizio che sbraita: avevano raccolto la valigia di Danny! La prendiamo e ringraziamo. Subito telefoniamo a Danny per dirgli di tornare, ma sentiamo squillare la tasca di Ale: Daniele gli aveva consegnato il cellulare per la corsa! Lo vediamo tornare: due tizie spagnole a King’s Cross avevano caricato la valigia sul primo bus. E meno male che abbiamo intercettato questo bus e non siamo tornati con lui alla fermata, sennò a quest’ora… insomma, recuperata la valigia, siamo tornati a King’s Cross, perché sul biglietto c’era scritto dove era stato emesso. L’ora di questo stava per scadere, se non ci facevano salire non avevamo un soldo per comprarne altri… al pelo prendiamo il bus successivo e arriviamo a Victoria alle 4:57 per prendere il treno delle 5:00. Megacorsa sfinente, e lo prendiamo all’ultimissimo. Ad arrivare a Gatwick, l’aeroporto, quel dannato treno ci ha messo una vita. Siamo arrivati lì alle 5:50, e il terminal chiudeva alle 6:20. almeno non ci sarà coda, ci dicevamo… e invece, la pessima sorpresa: questi inglesi intelligentissimi mettono una coda unica per tutte le destinazioni easyjet. Scoraggiati, ci siamo messi in fila insieme alla gente diretta a Barcellona, a Berlino, a Parigi... saranno state almeno duecento persone. Per fortuna la fila scorre abbastanza velocemente: alle 6:15 siamo al check-in. Riusciamo a spedire le nostre valigie, ma la legge inglese non permette di portare due bagagli a mano. Kent è inculato: dobbiamo correre a pagare la spedizione della valigia con i soldi che non abbiamo, e tornare a spedirla con il tempo che non abbiamo. Scattiamo dalla tizia delle valigie, ma questa non accetta bancomat che non siano inglesi! Tra mille bestemmie, corriamo al banco dei cambi, permutiamo 25 euro e torniamo da lei a pagare. Scattiamo dalla tizia del check-in saltando la coda come ci era stato detto, afferriamo i biglietti e ci apprestiamo ad entrare a tutta velocità. Danny riesce a dire anche qui una stronzata: “ma che, ce l’abbiamo il tempo per una sigaretta?” non avevamo il tempo per respirare, maledizione! Neanche ad insultarlo, corriamo all’imbarco, ci fanno trenta analisi, perquisizioni, metal-detections. Superiamo tutto con disinvoltura. Finalmente vediamo la fila per Milan… ci mettiamo lì, e poi sull’aereo, e ormai siamo salvi.

Ora gli altri stanno dormendo, io ancora non chiudo gli occhi, ma guardo di sotto, e sorrido. A presto, Londra. Ci mancherai.

FUCK THE QUEEN!!

4 commenti:

t ha detto...

ci sonod elle parti tagliate all'inizio e nel centro. neanche copiaincolla sai fare babbo?

alexeidos ha detto...

dimmi esattamente dove

t ha detto...

minchia rileggi solo le prime due giornata e te ne accorgi

Anonimo ha detto...

Condivido pienamente il suo punto di vista. Penso che questo sia una buona idea. Pienamente d'accordo con lei.
E 'vero! Credo che sia una buona idea. Sono d'accordo con te.

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