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sabato 11 luglio 2009

Uno, nessuno e centomila. Analisi dell'io pirandelliano

Rimasto affascinato dalla bellezza e dalla profondità di "Uno, nessuno e centomila", ho ragionato sull'io e sull'introspezione più recondita dell'ego pirandelliano e non solo; ho cercato infatti collegamenti culturali di carattere letterario, sociale e psicologico, facendo riferimento alle varie epoche analizzate e alla realtà socio-psicologica che regnava in ognuno di esse.

Il romanzo pirandelliano è improntato principalmente sulla questione dello specchio e del doppio, tema fondamentale nella cultura antica, che si parli del mito di Narciso o piuttosto dell'Amphitruo
plautino. [...]In Pirandello lo specchio è l'equivalente dello sguardo meduseo che fissa l'individuo al vedersi vivere, alla scissione tra il gesto riflesso e l'azione inconsapevole della propria
inautenticità. Davanti allo specchio, Vitangelo Moscarda non può scorgere i tratti titanici della perfetta persona romantica, l'io demiurgico in lotta con il mondo dell'eroe malinconico, ma solo
l'imbarazzante disagio di chi scopre l'assurdità del proprio sé riflesso. [...] (cit. da Antologia della critica a cura di Ugo M. Olivieri). Quando si parla dell' io demiurgico e dell'eroe malinconico, mi
ricollego alla letteratura greca, all'aspetto sociale così importante per una cultura le cui fondamenta si basavano sul riconoscimento sociale, dall'io inesistente per se stessi ma in realtà esistente solo per gli altri, vivere per gli altri e non per sé; si noti poi però come l'io più profondo, più intimo, l'io autobiografico, vada nei secoli a superare il concetto dell'io epico, dell'eroe nella storia, dell'eroe per gli altri e non per sé. E così, oltre allo specchio, che a livello semantico acquisisce un concetto di "riflessione" fisica e mentale, un termine associabile a "coscienza", termine appunto che si va a contrapporre alla pazzia, stato d'animo che provoca il "riso da matto" a Moscarda [Olivieri dice infatti che "Pirandello adopera il signifiant 'pazzia' accolto nell'uso comune, sociale, e ne capovolge completamente il signifiè, figurativamente, metaforicamente, semanticamente."], oltre allo specchio, dicevo, si pone la questione del doppio; tal questione è fondamentale nella letteratura latina, nelle commedie di stampo plautino, caratterizzate dall'uso di sosia (Amphitruo) e simillimi (I Menecmi); se si parla dell'Amphitruo, si noti come il tema del doppio sia importante all'interno di questa ilaro-tragedia: Alcmena, moglie dai forti valori romani, quando non riconosce Zeus, il quale aveva preso le sembianze del marito per soddisfare i propri piaceri sessuali, ci mette dinanzi a nuove questioni, sorgono così dubbi sulla sicurezza dei propri principi, finendo col non (ri)conoscere anche se stessi nel momento in cui, anche se beffati (qui da Zeus, che Von Kleist reputa più un demonio che un dio [leggi post] e in Pirandello invece al protagonista basta una semplice affermazione della moglie per generare il caos mentale), non comprendiamo più chi ci è di fronte, chi siamo in realtà noi e come siamo nelle diverse nostre sfaccettature, il doppio che in realtà diventa il triplo, il quadruplo e così via, una personalità per ogni situazione, per ogni persona con la quale si dialoga, per ogni noi stessi che vediamo dinanzi allo specchio, a volte fissandolo, a volte apparendoci diversi a noi stessi correndovi davanti e vedendoci con la coda dell'occhio. E così, dagli equivoci che nel teatro plautino generano ilarità, nasce però nel corso del tempo una coscienza più profonda che ricerca questa tragedia dell'io incomprensibile agli altri e a noi stessi, ad esempio nei testi pirandelliani. L'io è così uno, perché è uno in ogni situazione a sé, distaccata dalle altre, nessuno nel momento in cui non ci riconosciamo più, perché se per ognuno noi siamo qualcuno, diverso dalla nostra visione di noi stessi, non possiamo neanche più credere che la nostra visione di noi sia più importante (o forse più autentica) della visione altrui nei nostri confronti e infine è centomila, se si uniscono le due visione precedenti, dando ascolto a tutte le visione di ciascuno, in tutte le situazioni, in ogni
momento, secondo per secondo al mutare dell'immagine, del pensiero; e questo concetto, del corpo in movimento che cambia in continuazione e che quindi è impossibile comprendere qualcosa o qualcuno nel suo momento, perchè è già passato, questo concetto dicevo lo si trova sì nella filosofia greca, ma soprattutto nell'arte futurista, che cerca di cogliere la pausa nel movimento, cerca anche, grazie alla pittura e alla scultura, di ritrarre i più personaggi (e le loro maschere, i loro ruoli) all'interno della stessa persona, ed è per questo infatti che nella mia edizione di "Uno, nessuno e centomila" sulla copertina vi è un'opera di Umberto Boccioni. Perdita di identità, lo sdoppiamento, lo specchio e la malattia psichica, sarebbero argomenti da analizzare anche nella visione del caro Sigmund, ma per il momento ho deciso di non studiarlo, perchè sono convinto, come dice Rino Gaetano, che "mio fratello è figlio unico perché è convinto che anche chi non legge Freud può vivere cent'anni".
Lascerò lo studio della psicanalisi al più tardi possibile, poiché ritengo, soprattutto dopo la lettura di Pirandello, che nessuno, neanche noi stessi possiamo comprenderci. E chi è allora, mi dico io, qualcuno così supponente da credere di poter comprendere gli altri, magari studiandone i sogni, quei sogni che dal momento che non vi sono certezze nascono così mille ipotesi di ragionamento e di spiegazione di esso, che alcune persone, a causa dell'autosuggestione, prendono per verità, ritendo così competenti persone che sputano sentenze senza la possibilità di verificare il tutto?

Gradirei commenti o critiche al post, perché credo sia un argomento interessante che fa riflettere molto.

1 commento:

Angelo Gambino ha detto...

ciao, anche io sono stato molto colpito da questo romanzo, tant'è che è il tema portante della mia tesina di maturità (chiamata, per l'appunto, "la molteplicità dell'Io")

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